Presso il Palazzo Municipale della città di Patti si conserva il Liber Rubeus, cosiddetto per il colore della sua originaria legatura,  un codice cartaceo, membranacea è soltanto la prima carta, la quale, per l’utilizzo di diversi caratteri, le informazioni riportate e la loro disposizione, richiama un vero e proprio frontespizio,  elemento paratestuale già largamente utilizzato nelle edizioni a stampa della metà del XVI secolo.

Segue a carta IIr, quella che originariamente era la guardia anteriore, con una grafia corsiva diversa e sicuramente cronologicamente successiva a quella delle prime carte del manoscritto, l’indicazione: “Rubrica. Municipalia iura nobilissime olim Tyndaridis magnanime nunc civitatis Pactarum secundum quae singuli cives et civitas ipsa cum tenimento suo vivunt et reguntur”.

Carta IIIr, quella che dovrebbe essere la prima carta del corpus originario del manoscritto, è una sorta di prologo scritto in gotica rotunda, dal quale si ricavano informazioni più dettagliate, “Liber privilegiorum et capitulorum magnanime civitatis Pactarum, in quo sunt scripta omnia privilegia, capitula, consuetudines et statuta civitatis predicte cum multis provisionibus viceregiis et aliis, factus et compilatus per magnificos Ioannem Dominedo, Lucianum de Maniscalcis, Ioannem Paulum de Barbaro et Thomam Stuppia, iuratos ipsius civitatis anni IIII indictionis 1561Laus Deo eiusque intemerate matris Marie”: il manoscritto comincia a essere compilato nel 1561 per iniziativa dei giurati della città, sono elencate le diverse tipologie di testi in esso trascritti, privilegi, capitoli, consuetudini, statuti, ordinanze viceregie e “aliis” (sentenze, bandi, liste dei censi, giuramenti di vescovi, etc.).

I documenti trascritti sono 191, il più antico è il Privilegio di re Ruggero del 15 maggio 1129 secondo la tradizione (gli storici sono concordi nel ritenerlo un falso del secolo XIII), riportato integralmente nelle carte 221r-224r (altri 5 estratti stesso si trovano nelle carte 1r, 2v, 10v, 12r, 224Rr-v), il più recente è il testo della carta 227r del 31 gennaio 1659, il giuramento del vescovo Simone Rao ai giurati della città. Dei 38 documenti originali rilegati nel ms. i più antichi, risalenti alla prima metà del Cinquecento, sono dei testi fascicolati e cuciti tra le carte 224 e 225. Nell’ultimo documento raccolto si legge la data del 12 ottobre 1781 (234Gr-Hv). 

I documenti  sono complessivamente 229, in alcuni casi oltre al testo originale vi è anche la relativa trascrizione. La maggior parte, 132, sono del XVI secolo, 6 del XII, 2 del XIII, 1 del XIV, 37 del XV, 36 del XVII e 15 del XVIII.  Di questi 119 sono anteriori e 110 posteriori al 1561, “anno di nascita” del manoscritto, 58 sono in lingua latina, 15 in spagnolo e 156 in volgare, precisando che in questi ultimi il protocollo e l’escatocollo è generalmente in lingua latina.

Il LR non è, quindi, una semplice raccolta di statuta, per tramandare i testi in esso trascritti, non si è fatto ricorso all’ars artificialiter scribendi, già consolidata da circa un secolo in Sicilia, Palermo e la vicina Messina vantavano già numerose officine tipografiche e licenziavano edizioni di buona fattura, vari centri in tutta la penisola affidavano ai torchi la trasmissione del loro ius municipale.  Come sottolinea Romano «potrebbe sembrare strano che fino a tutto il secolo XVII siano stati editi solo i testi degli statuti e delle consuetudini di sole sei città [siciliane], specialmente tenendo presente che quelli rappresentano una fonte di diritto vigente fino al 1819. In realtà è ipotizzabile che le stesse città (o, più propriamente, i gruppi dirigenti in esse operanti) preferissero ‘non fissare’ in un’edizione una normativa per sua natura mutevole o, più probabilmente, non dare a questi testi (peraltro perfettamente noti agli operatori del diritto ed ai funzionari pubblici) eccessiva diffusione ‘ufficiale’ per mantenere uno stato di incertezza nel diritto. Una situazione che, probabilmente, giovava ai detentori del potere locale, che continuavano ad essere i detentori delle fonti normative, ai doctores iuris ed agli advocati, i quali sostanzialmente si ponevano come gli intermediari indispensabili per chiunque avesse diritti contestati da fare valere[1]».  I magnifici iurati civitatis Pactarum hanno dunque preferito affidare la tradizione di quelle disposizioni necessarie per l’amministrazione della città a un manoscritto, un “libro aperto”, che oltre ad avere raccolto le testimonianze del passato, si è arricchito nell’arco di due secoli di ulteriori documenti, ha avuto valore di “pubblico libro”, come ha scritto Giovan Crisostomo Sciacca nel suo lavoro di oltre un secolo fa, in cui ha minuziosamente studiato e descritto il “governo e il diritto municipale” di Patti[2]

[1] A. ROMANO, Vito La Mantia e le fonti della legislazione cittadina siciliana medievale,  prefazione in V. LA MANTIA, Antiche Consuetudini delle città di Sicilia, Messina, 1993, pp. LXXXVII-LXXXVIII.

[2] G.C. SCIACCA, Patti e l’amministrazione del comune nel Medio Evo, Palermo, 1907. A pagina 214 così descrive il LR: «È una specie di prontuario (non possiamo chiamarlo “codice”) in cui sono trascritti i “capitoli” più importanti, una copia delle “Consuetudini”, e molte “provisioni” e lettere “regie” e “viceregie”, in generale tutte quelle disposizioni che erano di una quotidiana necessità, perché rettamente si potesse applicare il diritto ed amministrare il comune. Esso aveva valore di pubblico libro. È formato da 233 fogli di carta, è rilegato, e comprende in principio una pergamena, sulla quale trovasi l’intestazione e lo stemma della Città. Alcune lettere regie e viceregie, e qualche copia di privilegi o di capitoli, quantunque rilegate in questo libro, non sono comprese nella numerazione dei fogli».

©Orazio Giubrone